sabato 16 aprile 2016

Con la speranza che possano suscitare qualche reazione posto due contributi raccolti sui social che frequento:
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Premetto per chiarezza, e non perché me ne faccia un punto di forza, che per carattere e formazione ho sempre vissuto l'essere un insegnante come una professione e non solo un "lavoro"; chi mi conosce sa quanto sia "appassionato", pur con mille limiti; quando sono a scuola non aspetto il suono della campana e credo di vivere quello che viene definito il "ruolo diffuso" della nostra professione con grande trasporto. Ora però voglio condividere con voi la fatica e la profonda irritazione che mi sta dominando in questi giorni. Se il PNSD mi ha trovato entusiasta, suscita invece tutto il mio disappunto la sua applicazione! Ancora una volta chi gestisce il tutto, giocando sul nostro entusiasmo e sulla nostra disponibilità, non riconosce la nostra professionalità! Non saranno i robottini degli atelier o le prestigiose macchine dei laboratori che promuoveranno la scuola italiana, ma sarà il nostro lavoro che, a quanto pare, rimane non riconosciuto e pretesto a titolo gratuito. Dopo anni di "vacanza formativa" sembra che ora, nel giro di qualche mese, dobbiamo diventare esperti e tuttologi (basti guardare e elencazioni di argomenti proposti nei piani di formazione). Temo che se questa sarà la strada, non potrà che essere un grande FLOP all'italiana in cui, se qualcuno avrà da guadagnarci qualcosa, non saremo noi, nè tanto meno i nostri alunni. Le rivoluzioni - quelle copernicane e non quelle delle barricate - quelle che cambiano le cose alla radice promuovendo valori nuovi, richiedono tempi distesi, saggezza organizzativa, impianti teorici solidi e largamente condivisi... Siamo davvero su questa strada? Dubito...
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Immaginiamo un prato verde ma di un verde non naturale, potremmo definirlo un verde pixel. Immaginiamo uomini e donne con tratti somatici particolari, potremmo definirli tratti somatici virtuali.
Immaginiamo un mondo in cui gli elementi costituenti non siano gli atomi come, già a partire da Democrito viene concepito il mondo reale, ma un mondo costituito dagli enti della geometria.
Lo definiamo il mondo virtuale. In questo mondo viviamo già da anni attraverso i videogiochi ma solo di recente si è pensato di sfruttarlo per apprendere.
Le nuove frontiere della didattica infatti guardano con occhio attento ai mondi virtuali, in particolare a quella che viene definita la didattica immersiva, ovvero una didattica che permette allo studente di essere percettivamente ed emotivamente inserito all’interno di un particolare contesto, dove il confine tra mondo virtuale e mondo reale viene a poco a poco sfumato. “Sentirsi immersi in un contesto, seppur virtuale, influisce notevolmente sull’apprendimento e permette di imparare attraverso esperienze che vengono dallo studente stesso personalizzate," afferma Andrea Benassi ricercatore dell’Istituto INDIRE, l’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa.
La didattica immersiva viene spesso consigliata nell’apprendimento delle lingue. Se si pensa all’inglese, per esempio, il modo migliore per impararlo è andare in un paese anglofono. Le nuove tecnologie della didattica oggi permettono di ricreare un ambiente virtuale in cui l’unica lingua parlata sia l’inglese consentendo anche a chi non può trascorrere periodi all’estero di imparare la lingua con questo tipo di didattica.I ricercatori di Indire hanno realizzato una piattaforma on line chiamata Edmondo che permette di entrare in un mondo virtuale tridimensionale creato apposta per l’apprendimento. “Altri mondi virtuali come Second Life impongono la creazione di una seconda identità.
Questa filosofia del ‘diventare qualcun altro’ cozzava con una tipologia e-learning, anche per un problema di valutazione. Si deve sapere chi c’è dall’altra parte” continua Andrea Benassi.
Come funziona Edmondo? Gli insegnanti, di cui è stata certificata l’identità e la professione, vengono accettati nella piattaforma e a loro volta iscrivono gli studenti. Gli utenti possono creare il loro mondo virtuale singolarmente, in gruppo o con un lavoro di classe. Questa tecnologia didattica permette di visualizzare uno spazio digitale per poter produrre contenuti o per apprendere immergendosi in quello spazio e coinvolgendo la sfera emotiva.
La piattaforma Edmondo prevede inoltre la formazione a distanza per i docenti, basata su un uso didattico del coding e su incontri virtuali tra docenti.
“Sul web si scrive, si caricano e si condividono contenuti ma è meno adatto a fare laboratorio e a costruire esperienze condivise. L’idea è quella di sviluppare gli apprendimenti attraverso il laboratorio on line.”
Un esempio di laboratorio virtuale svolto ha riguardato la ricostruzione di Selinunte. Gli alunni di alcune scuole anche molto lontane le une dalle altre si sono trovati sulla piattaforma e hanno collaborato per riprodurre la città così come era nel suo stadio precedente. Questo tipo di attività richiede l’acquisizione da parte degli studenti di diverse competenze nelle diverse discipline e la capacità di lavoro di gruppo, di progettazione e di coordinamento.
Oltre alla riproduzione di stati precedenti della realtà, il laboratorio virtuale permette di ipotizzare e immaginare stati futuri, come per esempio la progettazione di una città. Questo permette ai giovani studenti di collaborare per progettare scenari territoriali, sociali e culturali futuri.
Il laboratorio di fisica invece non è ancora attuabile in quanto i mondi virtuali non hanno ancora una fisica implementata che simuli le leggi fisiche del mondo reale. Una palla, per esempio, può rotolare ma non seguendo le leggi fisiche. Questo perché attualmente i computer non hanno 
ancora una capacità di calcolo sufficiente per riuscire a simulare e riprodurre tutti i moti e i fenomeni reali.
La sfida è dunque quella di creare un enorme simulatore di fisica virtuale per poter permettere agli studenti, anche di scuole lontane, di collaborare a progetti di fisica.
Inoltre, così come i social media come Facebook studiano i visori elettronici per riuscire a progettare i social network sensoriali che permettano di condividere le senzazioni tattili, olfattive e uditive, anche i ricercatori delle tecnologie didattiche immersive cercano di ipotizzare nuovi scenari futuri che permettano di apprendere nei mondi virtuali anche attraverso l’uso sei sensi. 

mercoledì 13 aprile 2016

In Opportunità Formative ho pubblicato il riferimento ad un intervento del Prof. Roncaglia sulle biblioteche.